Cosa vi viene in mente quando pensate al birrificio Baladin? La birra, sicuramente, quindi nuove ricette, lieviti, selezione delle spezie e produzione delle materie prime, malto e luppolo in primis. C’è molto altro, però, oltre al lavoro nel birrificio o nella cantina di invecchiamento.
Pensate agli iconici TeKu, per esempio, ineguagliabili bicchieri per la degustazione della birra, o alla partecipazione allo sviluppo dei fusti in materiale riciclabile che ha permesso di ottenere un design esclusivo personalizzato con i colori ocra e nero, realizzati da PolyKeg, produttori di fusti one way, per eliminare il ritorno del contenitore e facilitarne lo smaltimento da parte dei locali.
Tutto ciò implica un enorme impegno in ricerca e sviluppo, che Birra Baladin applica costantemente dal 1996 per mantenere il suo ruolo di rilievo nella birra artigianale. Pioniere del settore per quanto riguarda l’Italia, Teo Musso si è sempre impegnato nella differenziazione della sua azienda, estendendo l’importanza di Baladin a molti settori correlati.
Il suo prossimo obiettivo, per capirci, è l’inserimento di innovativi distributori automatici robotizzati di birra alla spina nelle stazioni ferroviarie e negli aeroporti: luoghi strategici, nei quali è difficile trovare la birra artigianale. Una sfida, una provocazione, ma anche una tattica originale per posizionare la birra artigianale in un mercato complicato da approcciare.
Ma andando per ordine, il lavoro di ricerca e sviluppo di Birra Baladin parte dalla selezione dei propri ceppi di lieviti - ingrediente fondamentale per la caratterizzazione di una birra artigianale, iniziata nel 1999: ci vollero cinque anni per ottenere, nel 2004, il ceppo di lievito di Elixir, quello che oggi caratterizza anche la birra Nazionale, la Pop, prima birra artigianale in lattina italiana, e poi adottato anche per l’iconica birra da divano Xyauyù.
Quest’ultima, in particolare, ha richiesto la messa a punto di una particolare tecnica di produzione: si tratta del barley wine invecchiato in botte, punta di diamante di birrificio Baladin, capace di rappresentarne il pensiero e la volontà di ricerca del suo mastro birraio, Teo Musso.
Una birra che prima di molte altre si è spinta oltre il concetto di comune bevuta, mettendo al centro la trasformazione aromatica nel tempo e sfidando il bevitore al confronto tra annate differenti, attraverso le verticali. Ebbene, la Xyauyù ha richiesto uno studio sull’evoluzione ossidativa durato anni.
Utilizzando come base proprio la Xyauyù è nato nel 2018 il Beermouth, ispirato alla tradizione piemontese del vermouth ma modellato sulla birra artigianale, destinato alla degustazione a sé, come aperitivo o dopocena, e alla mixology.
La ricetta è fedele alla tradizione, per così dire, e prevede l’utilizzo delle 13 botaniche caratterizzanti del vermouth, ma la vera innovazione, oltre all’utilizzo di una birra come base, sta nella loro estrazione: ultrasuoni e distillazione sottovuoto a bassa temperatura, per ottenere il meglio dalle note aromatiche. Una tecnica che, congiunta alle tante prove d’assaggio richieste prima del risultato sperato, ha richiesto due anni di tempo e il lavoro congiunto di Dennis Zoppi e Giacomo Donadio, volti internazionali della mixology, insieme a Teo Musso.
Ciò non sarebbe stato possibile se non nel nuovo birrificio agricolo Baladin, attualmente uno dei più grandi nell’Italia della birra artigianale, a lungo progettato e portato a termine nel 2017, per garantire il massimo della qualità e della costanza produttiva con un impianto automatizzato, ma flessibile, adattabile alle esigenze del mastro birraio, alle caratteristiche specifiche della produzione Baladin come ad esempio, l’uso delle spezie.
Parallelamente, si è lavorato sullo sviluppo di una filiera italiana di coltivazione del luppolo. Nel 2008 il primo luppoleto sperimentale, nato in collaborazione con l’Istituto di Agraria di Cussanio e con l’azienda Tecnogranda. Inoltre, assieme alle officine Conterno, il birrificio agricolo Baladin ha contribuito a realizzare il prototipo dell’Italian Hop Machine, macchinario che permette di separate i fiori di luppolo meccanicamente direttamente nel campo, favorendo e migliorando il lavoro dei coltivatori italiani.
Un’idea di condivisione, oltreché uno spirito improntato all’innovazione, che guida il marchio su più fronti: pensate alla prima birra italiana open source, la Open appunto, la cui ricetta è stata messa a disposizione degli homebrewer nei quantitativi calcolati per replicarla in una produzione casalinga o ai locali Open Baladin (Roma, Torino, Cuneo), i pub che, aprendo alla birra artigianale nuovi mercati e puntando sulla condivisione, hanno messo le spine Baladin accanto a tante altre realtà produttive artigianali e indipendenti italiane, garantendo loro una preziosa vetrina.
Sempre con il concetto di esplorazione Open mind, sono in seguito nati i primi beerkit italiani da estratto di malto e all grain in collaborazione con lo storico distributore Mr Malt.
Nel frattempo, vengono portati avanti due importanti studi in collaborazione con l’Università di Firenze: uno sulle influenze delle vibrazioni sonore sull’evoluzione delle cellule di lievito, nato dall’intuizione di Teo Musso che nei primi anni di attività aveva inventato delle grandi cuffie sonore da applicare ai fermentatori per diffondere la musica per stimolare l’attività degli lieviti. E un altro volto alla ricerca di un nuovo ceppo di lievito ottenuto naturalmente e che utilizza come laboratorio di incubazione lo stomaco dei calabroni. Progetti in evoluzione che richiedono lunghi tempi e investimenti, ma che rappresentano appieno lo spirito con cui Baladin vive il mondo della birra artigianale.
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