Vermouth. Basta la parola per spalancare un mondo fatto di usanze italiane e consumi internazionali, di orgoglio sabaudo e antiche ricette, ma anche di cocktail e più recenti aperitivi. Eppure, basta andare indietro di qualche anno (meno di dieci) per scoprire che quasi ci si era dimenticati di questo nobile vino fortificato, proprio come a volte accade con una bottiglia aperta e lasciata a mezz'asta, abbandonata nella credenza dei nonni. Oggi, per fortuna, non è più così: questo prodotto ha infatti vissuto una vera e propria rinascita ed è tornato di tendenza nei bar di tutto il mondo.
La storia del Vermouth parte da una tradizione antica, che si perde nella notte dei tempi: è quella dei vini conciati, addizionati, cioè, di erbe, frutta e spezie, basti pensare ai vini ippocratici degli antichi greci e dei romani.
Il prodotto, almeno per come lo conosciamo oggi, nasce invece a Torino, alla fine del XVIII secolo, precisamente nel 1786, quando Antonio Benedetto Carpano, garzone di bottega, lo mise a punto nella liquoreria rivendita vino Marendazzo in piazza Castello (allora piazza delle Fiere).
Oggi è normato da un disciplinare preciso, che ne determina le caratteristiche e dal 2017 esiste anche il disciplinare di produzione dell'indicazione geografica “Vermouth di Torino” (o “Vermut di Torino”) che attesta la storicità della produzione nella capitale sabauda.
La legge italiana definisce tale un prodotto composto almeno al 75% da vino, fortificato e aromatizzato con un'infusione alcolica composta da erbe e droghe, tra le quali deve obbligatoriamente essere presente l'Artemisia, nelle varietà Pontica e Absinthium. È proprio quest'erba, di cui si usano le punte fiorite ed essiccate, a caratterizzare principalmente la sua ricetta.
Che sia bianco o rosso (ma c'è anche la versione rosé), poi, esso si produce (quasi) sempre partendo da vini bianchi: un tempo era Moscato d'Asti, oggi prevalentemente è Trebbiano d'Abruzzo.
Fino al 1912 esisteva una sola varietà di Vermouth, d'un bel colore dorato carico, tendente all’ambrato, mentre è stato Gancia a lanciare sul mercato la versione bianca, caratterizzata dalla presenza di petali di rosa e fiori di sambuco. Infine, negli anni successivi, per differenziarsi, il Vermouth dorato si scurisce fino a diventare rosso, più amaro e complesso, contraddistinto da spezie scure, legni e cortecce.
Per la dolcificazione del Vermouth, la legge permette l'uso di zucchero bruciato (ottenuto dal riscaldamento controllato del saccarosio, senza aggiunta di acidi o additivi chimici), saccarosio, mosto di uve e mosto di uve concentrato.
Nascono così le cinque categorie ammesse:
Un buon Vermouth è un concerto di erbe e droghe, nel quale ogni botanica non diventa assoluta protagonista, ma si amalgama e armonizza con tutte le altre, proprio come un'orchestra che suona all'unisono. Su un sottofondo continuo amaricante, si possono innestare molte sensazioni: agrumate, balsamiche, speziate, floreali, tostate.
Vediamo i principali ingredienti che più spesso troviamo nelle ricette di questo prodotto.
Il Vermouth è un prodotto estremamente versatile, perfetto per il mondo della mixology e della sperimentazione! Basti pensare al Negroni Sbagliato e al Manhattan, due cocktail particolarmente famosi a base di Vermouth rosso. O ancora, al Vermouth bianco con la tonica, un cocktail più innovativo e meno alcolico.
Dalla reinterpretazione della tradizione del Vermouth si sviluppa uno dei prodotti più innovativi di Baladin: il Beermouth. Il Beermouth è uno spirits che nasce dall’unione di 13 botaniche tradizionali con la birra Xyauyù di Baladin.
Colore ambrato ed equilibrio perfetto tra note speziate - tipiche del Vermouth - e maltate sono le caratteristiche distintive di Beermouth, ottimo da gustare come aperitivo o a fine pasto (magari miscelato con acqua tonica!).
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