Articolo a cura di Simonmattia Riva, Biersommelier
Noi ci tocchiamo.
Con che cosa?
Con dei battiti d’ali.
Con le stesse lontananze
ci tocchiamo.
Questa ermetica poesia di Rilke richiama la teoria dell'effetto farfalla, secondo la quale eventi di portata apparentemente modesta possono avere rilevanti conseguenze a notevoli distanze cronologiche e geografiche dal loro accadere.
Cosa lega la East Coast americana, ove sbarcarono i primi coloni britannici con la loro cultura birraria, a Piozzo, villaggio di un paradiso vinicolo chiamato Langhe in cui Teo Musso ha fondato una colonia brassicola?
La prima e immediata risposta è ovviamente “la birra”, la seconda, assai meno agevole da indovinare, “le zucche”.
E come le zucche, a loro volta, sono diventate ingredienti caratterizzanti delle birre?
Un osservatore superficiale direbbe per caso, un analista più attento e scientifico parlerebbe invece di una causalità strettamente connessa a determinate condizioni iniziali.
I padri pellegrini sbarcati sulla costa atlantica nordamericana, infatti, incontrarono difficoltà nella coltivazione di orzi per birra e luppoli a causa del clima più caldo rispetto alla madrepatria: risultò dunque necessario rivolgersi alla cultura dei nativi americani - la cui dieta aveva nel mais e nelle variopinte cucurbitacee le principali fonti di amidi e carboidrati - per far fronte alla scarsità di malto d'orzo.
Dall'altra parte dell'oceano e sulle rive del Tanaro, Piozzo, prima di diventare famosa come patria di Baladin, era nota soprattutto per le sue zucche, protagoniste di una frequentata fiera regionale che si tiene annualmente a inizio ottobre.
Zucca Baladin, venuta alla luce nel 2011 come birra strettamente legata alla Fiera di Piozzo e servita solo in fusto nei giorni della manifestazione, è ben presto entrata a far parte del catalogo fisso del birrificio trovando spazio in eleganti bottiglie dal tappo in sughero ricoperto di ceralacca.
Quando si degusta una birra caratterizzata da un ingrediente “inusuale” occorre tenere presente due punti cardinali in rapporto tra loro dialettico: l'ingrediente in questione deve essere distintamente percepibile, altrimenti non ha alcun senso utilizzarlo, ma, al contempo, occorre un bilanciamento che garantisca l'agevole bevibilità e, soprattutto, l'identità birraria della bevanda non può risultare stravolta.
In altre parole, una pumpkin ale deve sapere anche “di birra” ed è altro da un succo fermentato.
Zucca Baladin celebra il suo ingrediente totem fin dal colore ambrato aranciato; nel bicchiere la birra si presente velata per l'assenza di filtrazione mentre la coltre di schiuma dalle tinte avorio è compatta, fine e di buona persistenza.
A solleticare l'olfatto sono innanzitutto le spezie, con una nota di cannella piuttosto intensa seguita da una punta di pepe bianco che apre la porta a pennellate di zenzero e noce moscata.
Dopo qualche secondo entrano in scena gli aromi più caldi: lo zenzero muta in panpepato e lascia poi il campo a profumi di polpa di zucca arrostita, albicocca disidratata, scorza d'arancia candita e un pout pourri di fiori secchi estivi che prelude a esteri fermentativi venati di pesca nettarina, un caratteristico trait d'union delle produzioni Baladin, accompagnati da una lieve pungenza etilica.
In bocca, la carbonazione vivace è un'importante chiave per rendere più agile la beva di una birra piuttosto alcolica e assertivamente speziata, mentre il corpo risulta piuttosto scorrevole ma non esile.
La dolcezza in punta lingua è rilevante ma meno di quanto ci si potrebbe aspettare dopo l'esame olfattivo: l'opulenza della polpa di zucca, punteggiata da ricordi di pan di Spagna velato da marmellata d'arance, è ben presto troncata da una leggera nota acidula rinfrescante, nel medio palato torna senza esitazioni la cannella mentre il finale è appannaggio dello zenzero e del pepe che chiudono con una lieve piccantezza riscaldante.
Nel retrolfatto, dopo il sorso, si assiste a un ritorno di noce moscata e cannella, il bilanciamento della dolcezza dei malti e della zucca è totalmente affidata alle spezie: il gusto amaro è pressoché assente, smentendo ancora una volta lo stereotipo che lo vuole presente in tutte le birre.
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