La residenza artistica dei Marlene Kuntz a Piozzo, Karma Clima, si è appena conclusa: è stato un viaggio indimenticabile, ricco di sorprese ed emozioni autentiche.
Quale modo migliore per rivivere le emozioni di questi giorni, se non ascoltando direttamente le parole di Cristiano Godano, frontman della band? Di seguito, una lettera aperta che Cristiano ha inviato a tutti gli iscritti alla Newsletter del sito ufficiale della band.
“Cari amici: buongiorno. Spero questa mia vi trovi tutti bene.
La nostra seconda residenza artistica è finita ieri (domenica 5/12). Sapete che eravamo a Piozzo, paesino d'ingresso nelle Langhe, a pochi km in linea d'aria da quella Barolo che oltre a dare il nome al celeberrimo vino apprezzato in tutto il mondo, ospita da qualche anno Collisioni, un festival cresciuto a dismisura e in grado di ospitare artisti di caratura pazzesca (per citare alcuni stranieri: Thom Yorke, Neil Young, Eddie Vadder, Placebo, Lennie Kravitz, Robbie Williams, Depeche Mode, dei quali facemmo una gloriosa apertura). Parrà provinciale rimarcare certe cose in un mondo globalizzato, dove nulla più stupisce e con tutto ci si confronta come se fosse con un qualsiasi nostro conoscente, ma garantisco che far diventare quel luogo ben lontano dai riflettori dello spettacolo un ricettacolo di tante star abituate a folle consistenti nelle più rinomate realtà urbane è una cosa che legittima lo stupore e l'ammirazione (e chissà, in qualcuno magari anche l'invidia o il sospetto o l'indifferenza... queste sì, cose da provinciali).
Piozzo, ormai lo sapete, è anche la sede della Baladin, la birra artigianale più importante in Italia (e conosciuta in più di 50 paesi nel mondo), e di birra giocoforza ne abbiamo bevuta abbastanza, quel tanto da dover pensare di rimettersi a fare un po' di attività fisica per abbattere il "di più" che ora ci ritroviamo nella nostra sagoma quando ci imbattiamo (per caso, per puro caso!) di fronte a uno specchio, e un accidente ci fa girare di novanta gradi al suo cospetto smascherandoci di profilo.
Sono stati altri quindici giorni intensi e pieni di ottima energia. I ragazzi del Baladin sono stati con noi fantastici, e abbiamo percepito tutto il loro desiderio di metterci in condizione di dare il meglio di noi stessi. Sentono l'importanza che riversiamo in questo nostro undicesimo lavoro, il coinvolgimento emotivo, la sensazione di una tappa cruciale del nostro percorso in questo mondo musicale allo sbando nella rete dispersiva, divisiva, atomizzata, governata dagli algoritmi che fanno di noi e dei nostri gusti quello che vogliono, e in qualsiasi momento della nostra giornata sono stati in grado di non farci mancare nulla, regalandoci premure, attenzioni, riguardi. Tutte cose che abbiamo percepito con estrema gratitudine ricambiando ovunque fosse possibile con la nostra partecipazione agli eventi da loro preparati, e di cui vi abbiamo parlato nel nostro penultimo post sui nostri social.
Amo dunque ringraziare in primis Teo Musso, l'inventore di Baladin, che col suo entusiastico beneplacito ha deciso per la nostra ospitalità. Abbiamo conosciuto un uomo di energia straordinaria, quella che hanno gli imprenditori di successo. Mai mollare il colpo, mai sprecare il tempo, mai procrastinare ciò che si può fare ora (sono certo che possa affrontare e risolvere tre o quattro problematiche rilevanti tutte insieme). Una energia che sa fare la differenza e premia chi ce l'ha, in un mondo come quello in cui, dalla rivoluzione industriale in avanti, ci siamo cacciati e che per non soccombere ci costringe a performance sempre più pressanti, totalizzanti, competitive (ammetto di detestare tutto ciò, sempre più, tanto quanto ammiro chi come Teo pare poterlo gestire con invidiabile naturalezza).
Poi Fabio Mozzone, che si è preso in carico la parte pratica e concreta dell'organizzazione della nostra presenza, risolvendo le problematiche contingenti, interfacciandosi coi media, relazionandosi sistematicamente con noi, tenendo sott'occhio la coordinazione di tutti gli aspetti e assumendosi la responsabilità di far funzionare gli ingranaggi di un meccanismo che non poteva subire inceppi. Affidabile, puntuale, preciso, divertente nel suo umorismo tagliente, acuto, tipicamente piemontese, se di esistenza di un umorismo piemontese si può parlare, come credo.
E Diego Occelli, a sua volta premuroso e in grado di garantirci tutta l'assistenza possibile per le varie questioni tecniche legate allo studio di registrazione e alle contingenze che si potevano presentare nella loro eccezionalità, che risolveva all'istante. Batterista, ha avuto la possibilità di vivere una emozione particolare, che ora vi racconto.
Nella seconda delle occasioni in cui un po' di persone ha avuto modo di assistere alle nostre registrazioni prenotando la propria partecipazione, le cosiddette "prove aperte", ci siamo immaginati di fare una cosa assai particolare: anziché farli assistere a una sessione di uno di noi (sessioni a volte noiose per chi le vive dal di fuori, ma in grado di far capire cos'è a tutti gli effetti un processo di registrazione di un disco, che non nasce per caso da una allegra suonata tutti insieme - certo, si possono anche fare i dischi suonando tutti insieme e "portando a casa" una registrazione live, ma vi garantisco che non lo fa più nessuno o quasi, in nessuna parte del mondo - ma si compone di decine e decine di momenti di quel tipo, con il musicista che, da solo, suona la stessa parte per altrettante decine di volte sino a ottenere la miglior esecuzione possibile. D'altronde immaginatevi un set cinematografico: secondo voi come nasce un film? Tutto in una volta o dopo settimane di registrazione di ciascuna scena che poi viene montata con le altre per ottenere il film stesso?) anziché farli assistere a una di quelle sessioni, dicevo, abbiamo fatto una lunga improvvisazione (vi dice niente il termine "spora"?), che ovviamente abbiamo registrato. E la gente venuta a vederci ha dunque assistito a una cosa che mai avevamo fatto prima: suonare per uno sparuto pubblico una improvvisazione lunga una quarantina di minuti, forse più, nell'intimo sacro e inviolabile (almeno un tempo) della nostra sala prove.
Eravamo senza Sergio alla batteria (si, nel disco ha suonato Sergio Carnevale, e non Luca Bergia), e siamo partiti così, senza quello strumento. Diego però era lì, in attesa di un mio eventuale cenno, che a un certo punto è arrivato... E lui si è aggiunto a noi, facendo la sua egregia parte e determinando un cambio importante di atmosfera, che da quel momento in avanti si è fatta più completa. E come dimenticare Asso? Il fantastico Asso, chitarrista di Vinicio Capossela e di PJ Harvey (e altri che non vi sto a dire), era con noi, in questa impro a tre chitarre, basso (Lagash), tastiere (Davide Arneodo) e Diego. Un momento magico, intenso, eccezionale, irripetibile (o chissà? Qualche ideina di andare in giro con un live del genere giuro che ci è balzata in testa...)
E poi le tante altre persone con cui ogni giorno ci si imbatteva: cuochi, receptionist, camerieri, assistenti, ragazzi/e al bancone del bar, gente del luogo, il sindaco, sua moglie, il fantastico Franco Sebastiano Alessandria, scultore, che ci ha regalato una delle sue opere fatte di... chiavi (grazie di cuore!), gli anziani, l'uomo della pulizia delle strade, gli altri impiegati di Baladin (ricordo la deliziosa e elegante Masha, e Alvise, di Verona, responsabile dell'interfaccia di Baladin con l'estero, col quale ci siamo confrontati a suon di "E ti ricordi i Died Pretty?" "Cazzo magnifici loro! E cosa mi dici degli Husker Du? E dei Lime Spiders? E i Celibate Rifles?", scoprendo di avere conoscenze assurde di band cruciali per il nostro percorso di crescita di ascoltatori rock).
Una gioia ricordarli tutti (e mi scuso con imbarazzo con chi mi sto dimenticando), e sono certo che da oggi, lunedì, il ritorno alla normalità del centro di Piozzo sia un fenomeno straniante per loro, i cittadini, che di colpo non si ritrovano più fra i piedi 5 tipi neri e dinoccolati più i tre nostri collaboratori (Taketo, Nic, Asso): presenze esotiche che si sono fatte ben volere nel corso di questi quindici indimenticabili giorni.
Creativamente, per quel che mi riguarda, ho raggiunto la confortevole certezza di essere rimasto con un solo testo da scrivere. Tutto il resto è a posto, e lo considero finito al novanta per cento (qualche ritocco qua e là, una parola o due che forse potrebbero essere migliori - ma quanta paura nello scoprire che cambiandola dovrei forse cambiare la frase stessa che le ospita, o l'immagine che aiutano a definire, anche e soltanto a causa di un cambio di sillabe che scompaginasse tutto il senso ritmico-melodico ormai ben oliato e in fase!).
E assai confortevole è anche la sensazione di star riuscendo nell'intento che mi ero prefisso: fare un disco concept. Concept? Non c'è niente di più assurdamente inappropriato che pretendere un ascolto e una attenzione così fuori tempo massimo dai propri ammiratori al giorno d'oggi, che però, proprio in quanto nostri leali ammiratori, questo si aspettano da me/noi: un percorso da seguire dalla prima all'ultima canzone, assecondando la nostra scelta di scaletta per inseguire le nostre stesse emozioni nel pensarla.
Il concept: sapete bene qual è... L'urgenza climatica impone alle persone di buon senso quantomeno una riflessione, non più eludibile, non più procrastinabile. E compito di un artista può anche essere quello di fare un lavoro che come minimo non la ignori, né la riflessione né tantomeno l'urgenza climatica. Lessi qualche anno fa "La grande cecità" di Amitav Ghosh, scrittore indiano-americano, e chi ha letto il mio "Nuotando nell'aria" lo sa perché già lì lo citai. "La grande cecità" è stato scritto con un intento assai curioso: cercare di capire come mai, indagando il fenomeno, gli scrittori, tranne rarissimi casi, hanno sempre tenuto fuori dalle loro creazioni il tema in questione. Ebbene, quanto meno potrei non deludere Ghosh dunque, perché molto felicemente posso dire di aver incluso quel tema nei miei testi.
Nessuna banale retorica, nessun banale indice accusatore, nessuna banale moralizzazione, nessuna semplice chiarificazione, nessuna banalità a buon mercato, ma poesia, ironia, distopia, slanci, effusioni d'amore, preoccupazioni, disinganni, viaggi mentali, incubi, riflessioni, rimpianti, descrizioni della natura e i suoi impagabili influssi. A volte con esiti espliciti, altre sottintendendo fra le righe, sommessamente o con allusioni inequivocabili.
E ora tocca a Paraloup, di cui già molte cose sapete. Le altre ve le diremo da quando vi entreremo (9/12) in avanti. E come vi ho già detto, spero di arrivare in un posto con tanta neve ad accoglierci (come pare che sarà...). Pensate, se ci sarà saremo costretti ad arrivarci con la motoslitta (ci verranno a prendere) e già questo vi fa ben capire dove cazzo stiamo per andare fra pochi giorni.
Un caro saluto a tutti! Fate iscrivere i vostri amici a questa newsletter: comunicare tramite essa a persone realmente amiche, che non hanno odio o insolenze da riversare ma solo desideri, amore e lealtà, è cosa bella e stimolante, e più siete più lo stimolo cresce a dismisura.
Vi abbraccio tutti molto caramente e affettuosamente."
Cristiano
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