Per quanto estremamente semplice, la ricetta della birra ha avuto nel corso della sua storia alcune evoluzioni importantissime.
Partiamo dall’acqua. Per millenni le birraie e i birrai si sono trovati costretti a produrre utilizzando esclusivamente l’acqua a loro disposizione senza alcuna possibilità di intervenire per modificarla e adattarla alle esigenze della tipologia birraria desiderata. Le cose iniziarono a cambiare a metà dell’Ottocento nel Regno Unito. Il crescente successo delle India pale ale prodotte nella città di Burton-on-Trent portò a effettuare studi e ricerche per capire cosa le rendesse così buone e particolari: presto si capì che il segreto era l’acqua locale ricchissima di molti sali minerali, ma in particolare di solfati e calcio, composti utili a sottolineare le sensazioni amare dei luppoli e le note tostate dei malti scuri.
Da quel momento si diffuse, prima nel Regno Unito e poi nel resto dell’Europa e del mondo, una pratica nota come burtonizzazione che prevedeva di addizionare l’acqua con gesso per farla somigliare a quella di Burton. Oggi le tecnologie per modificare il profilo dell’acqua sono molte di più e comprendono filtrazioni, osmosi, aggiunta di sali specifici, modifiche del pH.
Se c’è un aspetto che non è mai cambiato nella storia della ricetta della birra, ma che anzi la accompagna sin dalle origini, è l’impiego di cereali, in particolare dell’orzo. Questo cereale rustico, in grado di adattarsi anche agli ecosistemi più difficili e molto efficiente nel donare zucchero al mosto da fermentare, accompagna la birra sin dalla sua nascita.
A differenza di altri cereali, l’orzo ha la capacità di trasformare l’amido in zuccheri semplici - passaggio fondamentale per la produzione del malto prima e della birra poi - senza bisogno di particolari interventi esterni e anche per questo è stato sin dagli albori il cereale prediletto nella produzione birraria. Nella lunga storia della birra, a seconda del territorio di produzione, altri cereali si sono accostati all’orzo, primo tra tutti il frumento il cui utilizzo è stato, per esempio, regolamentato dall’Editto di purezza bavarese del 1516 che ne impediva di fatto l’utilizzo.
Ben più articolata è, invece, la storia del luppolo. Per millenni, infatti, questa pianta rampicante, oggi regina incontrastata della birra, soprattutto dopo la rivoluzione craft americana degli anni Settanta, e utilizzata per apportare alla birra note amaricanti e aromatiche, è stata solo una delle tante possibile aggiunte che venivano fatte alla birra.
A seconda dei territori, del paesaggio e della flora, infatti, le birre erano aromatizzate con erbe, fiori, radici, cortecce, resine… le più differenti. In Europa centrale questo mix di erbe era chiamato gruit e il suo ruolo nella produzione era talmente importante che la quantità impiegata determinava il peso delle tasse sul birrificio. La composizione del gruit cambiava a seconda del territorio, ma quasi sempre comprendeva rosmarino selvatico, achillea millefoglie e una particolare forma di mirto chiamato myrica gale.
Intorno all’anno 1000, produzione e vendita del gruit vennero regolati da una decreto, il gruitrech, che le affidava in forma esclusiva solo ad alcune categorie di cittadini. Nell’Europa continentale il gruit venne utilizzato regolarmente fino alla fine del XV secolo, e poi venne completamente soppiantato, prima nell’abitudine e poi anche per decreto – quello stesso Editto che proibiva l’uso del frumento indicava anche chiaramente il luppolo come unica pianta che poteva essere usata nella birra – dal luppolo, il cui utilizzo era stato suggerito in un trattato di botanica dalla famosissima Hildegarda di Bingen, monaca tedesca e figura influentissima tra il XI e il XIII secolo.
Nell’attuale Belgio, a occidente del fiume Schelda, nella parte di influenza francese, l’introduzione del luppolo fu decisamente più lenta e questo contribuì al mantenimento fino in epoca moderna dell’utilizzo di spezie ed erbe e alla necessità di trovare tecniche alternative che garantissero la conservazione della birra nel tempo (il luppolo fino all’invenzione della refrigerazione a metà dell’800 è stato, infatti, il principale metodo di conservazione a disposizione dei birrai).
Un discorso ancora diverso è quello che riguarda, infine, il Regno Unito, dove quando il luppolo venne introdotto, tra il XVI e il XVII secolo, rappresentò una novità così significativa da richiedere un nuovo nome per la nuova bevanda luppolata: se le tradizionali birre senza luppolo andavano sotto il nome di ale, le nuove si chiamavano, invece, beer.
E poi c’è il lievito, che con una battuta molti produttori definiscono il “vero birraio”. È questo microorganismo che si nutre di zucchero e produce anidride carbonica, alcol e composti aromatici, infatti, a trasformare l’insieme degli ingredienti che abbiamo fin qui citato in quella che conosciamo come birra.
Il lievito accompagna da sempre la storia della birra anche se fino agli anni Sessanta dell’800 birraie e birrai non avessero idea di chi o che cosa fosse il responsabile di quel ribollire senza bisogno di calore che trasformava la loro bevanda in qualcosa di nuovo e inebriante. Si pensava fosse un dono divino, un intervento soprannaturale.
Anche se non se ne si conosceva l’origine, però, già nell’antichità, gli antenati dei contemporanei produttori avevano imparato a governare questa fase. Nell’antico Egitto, per esempio, si metteva il mosto di birra sempre nello stesso contenitore per fare in modo che la birra fosse più buona e in questo modo, inconsapevolmente, si selezionavano i microrganismi che la fermentavano.
Nel XV secolo si era osservato un comportamento diverso del lievito a seconda della temperatura, cogliendo di fatto la differenza tra alta e bassa fermentazione. Poi, nell’800, gli studi di Louis Pasteur prima e quelli di Emil Christian Hansen poi donarono al mondo della birra la definitiva spiegazione alla domanda che da millenni riempiva le menti di produttrici e produttori di ogni luogo. A fermentare la birra erano degli organismi unicellulari, estremamente semplici nella loro struttura e nel loro comportamento: i lieviti.
Da lì sarebbe iniziata una nuova storia, fatta di osservazione, selezione in laboratori, definizione delle caratteristiche volute o no apportate da lieviti, batteri e funghi. Era l’inizio della birra contemporanea, un nuovo affascinante capitolo che non si è ancora interrotto.