Alzi la mano chi non ha mai assaggiato un cocktail in vita sua. Astemi convinti a parte, le braccia sollevate (si spera) saranno molto poche. Alzi ora la mano chi non ha mai assaggiato un cocktail con ingrediente il Vermouth. Qualcuno potrà esitare, non conoscendo a fondo gli ingredienti di ogni drink. Ma basta scrivere su Google Negroni, Martini Cocktail, Americano, Manhattan – quattro cocktail che non possono rinunciare a questo prodotto – per dissipare ogni dubbio. Il legame con la miscelazione è più stretto che mai.
Ne parliamo con Dennis Zoppi, un professionista che da dietro il bancone si è fatto conoscere in tutto il mondo, e tra gli ideatori del Beermouth. “La sua rinascita, anche in miscelazione, è assolutamente in linea con le nuove tendenze della mixology - afferma - che vedono tra i capisaldi il low alcol. Perché non costruire un cocktail su una base più aromatica e meno alcolica? Il Vermouth con la sua aromaticità e il ridotto apporto alcolico è dunque una base perfetta”.
In America li chiamano Negronist, gli amanti del Negroni. È il cocktail che ha reso immortale il nome del Conte Camillo Negroni. Impossibile pensarlo senza due grandi prodotti italiani come il bitter e il Vermouth, al quale si aggiunge, nelle canoniche dosi di un terzo per ciascuno, il gin. Per fare un buon Americano, invece, il gin resta nella bottigliera, per un cocktail meno alcolico ma non meno intrigante. Aperitivo per antonomasia.
Sono due cocktail iconici e popolari, replicati ovunque. “La mixology moderna - prosegue Dennis Zoppi - ha necessità di novità. C'è sempre bisogno di qualcosa di nuovo, ma è anche vero che le nuove miscele sono poi difficili da comunicare. Perché non proporre qualcosa di inedito rimanendo fedeli all'originale negli ingredienti, variando solamente le quantità? Per esempio, perché per il Negroni si ragiona sempre sulla suddivisione in parti uguali? Se si cerca un Negroni più aromatico e meno alcolico, si può privilegiare un Vermouth più complesso, aumentandone la proporzione e facendolo diventare la base del drink”.
Il rosso è poi presente da protagonista in molte varianti del Negroni (dal Negroni Sbagliato, all'Hanky Panky), mentre da comprimario chiude il cerchio in un altro cocktail storico come il Manhattan, uno di quei “quattro cocktail che consentono al barman di fare bella figura, mentre al cliente è permesso di raccontar loro la vita” come disse Manuel Vazquez Montalban.
Il bicchiere più rappresentativo nel mondo della mixology? La triangolare coppetta Martini, senza ombra di dubbio. Una forma essenziale che diventa recipiente di tutti quei short drink che non necessitano di ghiaccio, a cominciare proprio dal cocktail che le ha dato il nome. Quel Martini Cocktail che Truman Capote definiva “la pallottola d'argento”, di cui la scrittrice Dorothy Parker amava dire “Adoro farmi un Martini, massimo due, al terzo finisco sotto il tavolo, al quarto sotto il mio ospite”. Un cocktail in parte giocato sulla proporzione tra gin e extra dry: dallo scolastico 6:1 previsto dall'IBA (International Bartender Association), al 15:1 amato da Hemingway, la famosa proporzione “Montgomery”, ossia il rapporto che il pavido generale inglese pretendeva tra le sue forze e quelle del nemico, prima di attaccare.
“Se vogliamo dare risalto alla parte più aromatica - dice Dennis Zoppi - possiamo innalzare la sua quantità, anche fino a metà dell'intera proporzione. Ma se vogliamo ricercare qualcosa di più immediato, un nuovo trend è sicuramente il vermouth and tonic, molto piacevole e contemporaneo: vermouth bianco, acqua tonica e una fetta di arancia per avere ancora più comfort”.
Quando si assaggia il Beermouth il godimento è massimo, anche nella sua bevuta in purezza, ben raffreddato e con una scorzetta di agrume (meglio se di pompelmo). L'utilizzo nella mixology, però, regala autentiche sorprese. “Le 13 botaniche utilizzate nel Beermouth - ci suggerisce Dennis Zoppi - ampliano il ventaglio di possibilità, nei cocktail e nel pairing. Col caffè, col bergamotto, con gli amari in genere, con i bitter: sono tutte strade che offrono possibilità di sperimentare e divertirsi. Si tratta di un prodotto versatile che può essere alla base di una beer mixology tutta da creare. Un solo consiglio per i barman: bisogna considerare che alla base c'è una birra, e per facilitarne la miscelazione occorre agganciarsi ai suoi ingredienti, spezie in primis”.
Magari partendo da cocktail elementari, di sicuro successo, come Beermouth and Tonic (con guarnizione di pompelmo), o un altrettanto semplice Popolare, dove al Beermouth si aggiungono Bitter Campari e birra Pop Baladin. “Ma anche - chiosa Dennis Zoppi - andando a twistare (ossia, in gergo, rivisitare) grandi classici, sostituendo alcuni ingredienti: dallo Spritz, al già citato Manhattan, c'è soltanto da divertirsi”. Anche a casa!