Adesso anche le birre alla frutta, dove andremo a finire?
A chi lavora dietro il bancone di un locale specializzato in birre artigianali capita talvolta di udire simili lamentele: ad esprimerle sono solitamente bevitori la cui fedeltà alle lager industriali si estrinseca negando cittadinanza del regno delle cervoge a qualunque tipologia si allontani da ciò che per loro è la birra, senza ulteriori qualificazioni.
In realtà birre e frutti sono legati da una relazione plurimillenaria: i prelibati figli del mondo vegetale sono infatti stati storicamente usati sia come materiale fermentescibile, grazie al loro rilevante tenore zuccherino, sia come aromatizzanti per specialità brassicole del passato.
Basti infatti pensare che Virgilio, nelle Georgiche, scrive di bevande di frumento aromatizzate con sorbe acide in uso tra gli antichi Sciti, mentre una suggestiva leggenda belga narra di un crociato originario di Schaerbeek, località nei pressi di Bruxelles un tempo celebre per le sue ciliegie griotte (kriek in lingua fiamminga), che avrebbe usato i frutti del suo albero per colorare e profumare il lambic, la birra a fermentazione spontanea che era la sua bevanda quotidiana, a imitazione del vino conosciuto in Terra Santa nonché in omaggio al sangue di Cristo.
Bacche come il mirto e il ribes nonché frutti come il lampone, la mora, la ciliegia, l'amarena e la susina erano del resto componenti del gruyt, la miscela di aromi e spezie, variabile a seconda delle regioni e delle stagioni, che nell'Europa medievale serviva ad aromatizzare le birre in alternativa al luppolo e prima che il verde rampicante diventasse la scelta dominante.
Oggi che la creatività dei mastri birrai di tutto il mondo ha non solo riportato in auge antiche tradizioni ma anche inaugurato nuovi usi degli ingredienti speciali, il panorama delle birre alla frutta è piuttosto ampio e rende necessario operare un discrimine tra varie tipologie.
In primo luogo, è indispensabile distinguere se la ricetta birraria preveda l'utilizzo di frutti al naturale o di estratti e sciroppi: in questo caso i profumi saranno facilmente molto più aggressivi e andranno a ricordare una caramella o altro alimento lavorato aromatizzato alla frutta, mentre sul piano gustativo avremo un incremento del versante dolce della birra in questione.
L'utilizzo di vera frutta, invece, oltre a porre una significativa sfida nella gestione della fermentazione a causa della flora batterica naturale dei vegetali, apporterà profumi meno esibiti e marcati ma più eleganti e sinceri, al gusto, invece, oltre alle sue distintive caratteristiche organolettiche il frutto recherà inevitabilmente con sé una più o meno accentuata spinta acidula.
Un ulteriore discrimine riguarda la centralità o meno della frutta e dei suoi aromi e sapori nel definire il profilo gustolfattivo della nostra birra: vi sono infatti casi in cui l'aggiunta dell'ingrediente è essenzialmente un rinforzo offerto a sentori già generati da altri ingredienti della bevanda, un flavour booster come dicono gli anglosassoni. L'aggiunta di scorza, nettare o polpa di agrumi o di frutti tropicali come mango, passion fruit, guava e papaya in una IPA in cui le varietà di luppoli impiegate sprigionano profumi e aromi affini ne è un palese e attualissimo esempio.
Diverso è invece il caso in cui il frutto sia il cardine attorno a cui si costruisce l'identità gustativa della birra, come avviene nella tradizione belga delle fermentazioni spontanee e miste con aggiunte di griotte, amarene, lamponi o uva, che sono le varianti storicamente più attestate, o anche di albicocche, pesche o prugne, prelibatezze vegetali che negli ultimi anni hanno dimostrato di ben integrarsi in un'opportuna ricetta birraria.
Il frutto andrà a caratterizzare in modo marcato il colore, donando tinte e nuance sorprendenti, e dovrà inevitabilmente essere ben riconoscibile all'olfatto e al gusto andando però a integrarsi con la birra di base: la naturale acidità dei frutti verrà così bilanciata da una struttura maltata che, a seconda dell'intensità, potrà donare suggestioni di cereali, panificato o miele mentre la componente amara, la cui genesi spetta tradizionalmente ai luppoli, sarà, per lo più, tenue o addirittura inavvertibile al fine di non togliere spazio alle fragranze del frutto e non creare un connubio acidità-amarezza che, molto spesso, risulta respingente.
Ottima risposta a chi cerchi una birra non amara nonché un aperitivo elegante e fresco, le fruit beer sono pronte a smentire ogni stereotipo.
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