Dal Giappone a Piozzo: viaggio in Oriente con Baladin Xyauyù Kioke

Articolo a cura di Simonmattia Riva, Biersommelier

Per me la fermentazione è […] un'avventura multiculturale e […] un percorso spirituale poiché afferma di continuo l'interconnessione di fondo di ogni cosa. (Sandor Ellis Katz)

Chi si appassiona a un particolare cibo o bevanda fermentata difficilmente resterà immune al fascino esercitato da tutto il resto che possa essere prodotto, trasformato o conservato con questa ancestrale tecnica.

Lieviti, batteri, microrganismi probiotici: una grande catena di piccoli e invisibili esseri si tiene reciprocamente per mano e collega tra loro la birra, il vino, il sake, i crauti e i vegetali fermentati, il kombucha, il sidro, l'aceto, il pane, il formaggio, il kefir e lo yogurt.

 

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Tra Langhe e Giappone: la storia di Baladin Xyauyù Kioke

Uno sperimentatore come Teo Musso non poteva certo essere immune dal fascino della contaminazione con fermentati apparentemente lontani dal suo territorio di elezione ed una formidabile occasione per produrre qualcosa di completamente nuovo arrivò grazie all'Expo milanese del 2015.

Al termine della kermesse, infatti, Baladin ricevette in dono dalla delegazione giapponese una botte di legno aperta chiamata kioke e prodotta sull'isola di Shodo da Yasuo Yamamoto, bottaio discendente da un'antica famiglia di produttori di salsa di soia.

Gli oke e i taru sono infatti contenitori realizzati a mano in legno di cipresso, legati senza alcun adesivo diverso dalla colla di riso e tradizionalmente usati per la produzione del riso per il sushi o per la fermentazione aperta di bevande e alimenti liquidi come il sake, il miso e, appunto, la salsa di soia.

Al fine di celebrare al meglio l'esclusivo dono, Teo decise di sposare il kioke con la Xyauyù, la birra forse più pregiata e rappresentativa della sua gamma, un barley wine frutto di anni di sperimentazione sulle macro ossidazioni.

Fu così che un lotto di Xyauyù già fermentata e maturata in acciaio per 18 mesi  venne affinata a cielo aperto (la botte giapponese è priva di coperchio) nella kioke nuova: il recipiente non aveva infatti contenuto la salsa di soia in precedenza, per cui il contributo aromatico donato al prezioso liquido è dovuto interamente al legno di cipresso con le sue resine.

Come tutte le sorelle della famiglia Xyauyù, anche la versione Kioke è contenuta in una bottiglia da mezzo litro dal design vintage dotata di un tappo in sughero che permette di richiudere la bottiglia e conservarla aperta anche molto a lungo, proprio come un vino fortificato o un distillato.

 

Un viaggio nei sapori dell’Oriente: degustiamo Xyauyù Kioke

Versata nel TeKu, il bicchiere da degustazione elaborato da Baladin e che valorizza Xyauyù Kioke ancora meglio del classico balloon, e a una temperatura non inferiore ai 14°C, si presenta di colore mogano scuro con bei riflessi ramati e aranciati e una suggestiva velatura: è completamente priva di schiuma a causa dell'elevato grado alcolico nonché della maturazione in legno aperto.

Il bouquet manifesta la sua unicità nell'armoniosa sinfonia creata da tre famiglie aromatiche ben distinguibili: sentori caldi ed evocatori di dolcezza, creati dai malti e dall'ossidazione nobile, quali dattero, toffee, mandorla, marzapane e mallo di noce matura si contrappongono a una vena balsamica e vegetale che ricorda nettamente la bacca di cipresso e gioca a rimpiattino con note terrose di salsa di soia (data dall'invecchiamento, non dal kioke, che era vergine) e radice di liquirizia. Alcuni minuti di permanenza nel bicchiere regalano poi suggestioni di cioccolato al latte, marron glacée e torta di cioccolato e pere.

Il sorso la rivela ovviamente priva di carbonazione e densa, con un corpo sferico e viscoso adeguato a sostenere un'opulenta componente dolce in cui emergono dattero, fico secco, cioccolato al latte, fudge al caramello e creme brûlée: il viaggio zuccherino viene interrotto da una lieve apertura acidula improntata all'amarena e da una rilevante sapidità tendente all'umami. 

Segue poi una lievissima tannicità, sempre ai lati della lingua, mentre a medio palato giungono echi di mallo di noce e pasta reale contrappuntati da una bella vena balsamica che ricorda, ancora una volta, la bacca di cipresso e va a digradare verso il finale in cui tornano note umami che evocano la salsa di soia e il cacao in polvere prima di un lungo ma non invadente retrolfatto all'insegna del dattero e delle praline di cioccolato alle noci.

Langhe e Giappone possono toccarsi grazie all'incanto della fermentazione, che sempre si rinnova legando di segrete e saporose affinità cibi e bevande.

 

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