La tendenza alla contaminazione è uno dei grandi temi della cultura enogastronomica contemporanea. L’idea di far incontrare mondi diversi in un unico prodotto è qualcosa di profondamente affascinante, ma che può comprensibilmente irritare i puristi di entrambi gli schieramenti.
Per molti anni, ad esempio, la creazione di cocktail che prevedessero la birra come uno dei propri ingredienti è stata osteggiata dagli appassionati della nostra bevanda, perché vista come una consuetudine eretica e dissacrante. Nel tempo, però, i professionisti della mixology sono riusciti a convincere consumatori e birrai e oggi quello dei cocktail alla birra è un fenomeno in forte crescita, con potenzialità espresse solo in parte.
D’altro canto il matrimonio tra birra e cocktail non è mai stato facile. Tra le numerosissime ricette riportate in uno dei testi di riferimento del bere miscelato, cioè lo storico How to Mix Drinks del “Professore” Jerry Thomas, sono riportati solo otto drink alla birra. Un sodalizio che appariva difficile già a metà del XIX secolo (periodo di pubblicazione dell’opera) e che certo non invertì la rotta nei decenni successivi. Un’ulteriore colpo a questo possibile connubio arrivò con la globalizzazione del mercato brassicolo: la diffusione dei prodotti delle multinazionali, perlopiù dal gusto anonimo e tutti simili tra loro, non fu certo un elemento che solleticò la fantasia dei bartender.
Quello dei cocktail alla birra è, dunque, un fenomeno relativamente recente e sviluppatosi come conseguenza della rivoluzione internazionale della craft beer. Il recupero di tanti stili birrari e l’esplosione di sapori che ha contraddistinto il settore ha fornito al mondo della mixology un ingrediente finalmente intrigante, con possibilità d’impiego del tutto nuove. Il trend si è sviluppato inizialmente negli Stati Uniti, vincendo le fisiologiche resistenze iniziali e approdando poi in Europa, dove ha iniziato a sedurre anche i birrifici (nonché i bevitori) del Vecchio Continente.
Se le birre luppolate non rappresentano un ingrediente facile da domare in termini di bere miscelato, è con altre tipologie che le ricette possono arricchirsi di sfumature inusuali e suadenti.
Di seguito tre dei cocktail alla birra più conosciuti:
A volte è il mondo della miscelazione a ispirare gli stessi birrai: non sono una rarità le birre modellate secondo le ricette di celebri cocktail o long drink, come il Sazerac, il Gin Tonic, il White Russian o il Manhattan. Uno degli ultimi casi di prodotto ibrido realizzato in Italia è stato il Beermouth del birrificio Baladin, un Vermouth ottenuto da una miscela di 13 botaniche innestata su una base di birra, nello specifico la straordinaria Xyauyù della casa. Una delle destinazioni per eccellenza del Beermouth sono proprio i cocktail, grazie alla ricchezza aromatica che ben si adatta al mondo della mixology.
Quello dei cocktail alla birra è, dunque, un mondo variegato e in forte ascesa, che sta vincendo la diffidenza iniziale e sta affascinando bartender e birrai. Parlare di mixology e birra non è più un’eresia, come mostrano locali e iniziative ormai ampiamente diffusi negli Stati Uniti così come in Europa. Le possibilità aromatiche dell’impiego della birra nel bere miscelato sono virtualmente infinite, considerando soprattutto che sono due universi destinati a evolvere ancora in futuro e a influenzarsi a vicenda. Solo il futuro ci dirà quali sono i confini di questo particolarissimo connubio.
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