Articolo a cura di Simonmattia Riva, Biersommelier
Secondo Andy Warhol “Tutte le cose sono nell'aria, conta solo chi le realizza”. La lattina è diventata un'icona della cultura pop nel 1962, quando l’artista americano ritrasse in trentadue tele tutte le varietà di zuppa Campbell’s allora in commercio: in quel modo Andy Warhol regalò celebrità imperitura a un contenitore che era già entrato positivamente nell'immaginario collettivo del periodo post bellico, grazie alla sua praticità, igienicità e convenienza.
Sette anni dopo la presentazione dell'opera d'arte oggi custodita al MoMa di New York avvenne un altro evento di grande rilevanza storica, anche se poco conosciuto: nel 1969, infatti, la vendita delle lattine di birra negli Stati Uniti superò per la prima volta quella delle bottiglie.
Una così grande popolarità portò però con sé un prezzo salatissimo: dal momento che le lattine contenevano quasi sempre lager industriali dal basso costo e dall'ancora minore valore organolettico, la modesta qualità del contenuto proiettò il suo effetto alone sul recipiente rendendo la lattina sinonimo di birra di primo prezzo e scadente per almeno tre decenni.
Eppure la sua forma cilindrica ricorda assai bene un fusto o un cask, senza contare che la sua efficacia nella prevenzione di due acerrimi nemici della birra come ossidazione e colpo di luce è nettamente maggiore a quella delle bottiglie: le strade della lattina e della bevanda di malto erano destinate a intrecciarsi di nuovo.
Malgrado il movimento birrario craft abbia, in un primo momento, cercato di staccarsi in modo netto dall'industria anche sul piano del packaging, puntando quindi su bottiglie prestigiose ed eleganti, qualche artigiano con sufficiente coraggio doveva prima o poi rilanciare l'immagine del contenitore metallico: del resto Warhol disse anche le masse vogliono apparire anticonformiste, e questo significa che l'anticonformismo deve essere prodotto per le masse.
E cosa c'è di più birrariamente anticonformista che mettere un prodotto artigianale in lattina?
Tanto più se a farlo per primo in Italia, dopo i pionieri craft statunitensi e britannici, è Baladin, fin dagli albori associato a sinuose e raffinate bottiglie dai tappi in sughero ricoperti di ceralacca.
L’American Pale Ale Baladin Pop nasce dunque con l'esplicita finalità di scioccare e di portare in strada, nei parchi e nei concerti rock (oltre che, ovviamente, pop), il nome di un birrificio che risuonava più nei ristoranti di qualità e nei luxury shop. La lattina richiama esplicitamente Warhol e la Pop Art nelle sue grafiche multicolor e psichedeliche proposte in 12 varianti per solleticare la fantasia dei tanti collezionisti di breweriana.
Lo stappo della lattina è accompagnato dal caratteristico soffio e da un sbuffo di fresco e candido vapore: due indizi che fanno una prova della vivace frizzantezza che invaderà le nostre papille gustative. Versata in una pinta americana, il bicchiere più adatto a esaltare le fragranze luppolate, mostra un colore dorato molto chiaro, poco più che paglierino, con una netta opalescenza dovuta all'assenza di filtrazione e una ricca e abbondante coltre di schiuma candida, compatta e fine.
All'olfatto la componente maltata di Baladin Pop si rivela con sottili aromi di fieno e cracker, i protagonisti principali sono però i luppoli con i loro profumi agrumati, bergamotto e cedro in primo luogo, e floreali, con evidenti ricordi di mughetto e tarassaco. Qualche secondo di permanenza nel bicchiere apre la scena a lievi ma percepibili tocchi speziati di coriandolo, pepe bianco e lemon grass seguiti da una sottile scia resinosa e una sorprendente punta di vaniglia.
La carbonazione sottile ma decisamente vivace che solletica la lingua non ci sorprende dopo averne apprezzato gli anticipatori visivi e uditivi, il corpo è invece snello, come ci si attende da una American Pale Ale “popolare” da bere in qualunque occasione e momento della giornata. Le papille gustative sono in prima battuta avvolte da una sensazione di dolcezza che richiama la cedrata e il bergamotto su una base di mollica e crosta di pane, a medio palato si rincorrono invece sensazioni di buccia d'arancia essiccata, fiori gialli e vaniglia, preludio a una chiusa amara molto gentile e moderata rispetto ad altre interpretazioni dello stile e improntata alla citronella e alla scorza di cedro.
Il non modesto tenore alcolico (6% ABV) risulta molto ben mascherato donando un'alta facilità di beva, malgrado possa essere molto pop bere dalla lattina il consiglio è sempre di versarla in un bicchiere al fine di coglierne al meglio i profumi.